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Anziani, i centenari sono il nuovo ceto sociale d’Italia

Anziani, i centenari sono il nuovo ceto sociale d’Italia

In un articolo de “Il Corriere della Sera” il giornalista Federico Fubini, partendo da un’indagine Istat del 2011, si sofferma per analizzare un fenomeno sociale in forte espansione: la crescita del numero di anziani e, in particolare, degli ultranovantenni. Secondo l’Istituto sarebbe Siena la città del primato. La penna del Corriere si è recata nella provincia toscana per scoprirne gli ingredienti.

“Il posto più salubre del mondo potrebbe essere un appartamento senza wi-fi al quinto piano di via di Città 36, Siena. Potrebbe. Non ci sono prove, ma indizi sì. Fra queste quattro mura deve trovarsi almeno un po’ del segreto di una vita lunga e piena di sapori fino a un’età che, decenni addietro, sarebbe parsa impensabile. Si sono appena seduti qui per parlarne attorno a un tavolo sei senesi nati negli anni ’30: Massimo Fabio (1933), Vittoria Nepi Adami (’36), Raffaello Mori Pometti (’31), Vinicio Guastatori (’34), e Emilio Giannelli (’36), il vignettista che per i lettori del Corriere non avrebbe bisogno di presentazioni.

All’ultimo censimento condotto nel 2011, Siena è la città d’Italia con la quota più alta di ultranovantenni. Lo segnala Giorgio Alleva, il presidente dell’istituto statistico Istat. È dunque un buon punto d’osservazione per spiare la rivoluzione sociale più profonda in corso oggi in nel Paese e anche la meno discussa, perché avviene nei soggiorni di casa invece che nelle piazze. È una metamorfosi esponenziale, come mostra il grafico in pagina sugli italiani che hanno compiuto i cento anni di età. Erano 51 quando Benito Mussolini marciò su Roma meno di un secolo fa e meno di mille quando l’Italia si apprestava a vincere il Mondiale di Spagna con Dino Zoff e Enzo Bearzot. Oggi sono oltre 17 mila, destinati a esplodere fino a 157 mila quando saranno anziane le persone attualmente di mezza età (i dati sono forniti dall’Istat e da Vittorio Filippi su Neodemos).

Prende forma così un nuovo ceto sociale: i grandi anziani. Dal 2003 fino all’anno scorso il numero degli ultranovantenni è cresciuto di una quantità pari agli abitanti di Bari, il nono capoluogo del Paese per dimensioni; prima che i giovani adulti di oggi diventino i vecchi di domani, si moltiplicheranno per dieci.

Purché non siano i soli italiani destinati a rafforzarsi, una trasformazione del genere è tanto positiva quanto poco apprezzata. In un Paese abituato a trovarsi sul fondo di qualunque classifica, in effetti, non ha sollevato la curiosità che merita il Bloomberg Global Health Index uscito il 20 marzo scorso: nell’indice mondiale della salute, l’Italia risulta prima assoluta. È il Paese dove si è sani più a lungo, in una lista di 163 nazioni elaborata sulla base di ingredienti come l’aspettativa di vita, le cause di morte e l’esposizione al rischio di tabacco, alcool, pressione alta o malnutrizione. «La crescita ristagna da decenni, quasi il 40% dei giovani è senza lavoro e il Paese è oppresso da uno dei più pesanti carichi di debito rispetto alle dimensioni dell’economia», ha premesso Bloomberg. Avrebbe potuto aggiungere che i tassi di povertà sono raddoppiati. «Eppure gli italiani sono molto più in forma degli americani, dei canadesi o dei britannici».

 

Non servirebbe molto, per certi aspetti. Nei giorni in cui Bloomberg metteva in Rete la sua graduatoria due economisti di Princeton, Anne Case e il premio Nobel Angus Deaton, pubblicavano uno studio sconvolgente: dall’inizio del secolo la mortalità dei bianchi di ceto medio negli Stati Uniti è aumentata, mentre l’Italia con il Giappone, l’Olanda, la Svizzera e la Svezia mette a segno i più grandi progressi in tutte le aree — morti per droga, alcol, suicidio, malattie cardiache e tumori — malgrado la grande stagnazione. Sta succedendo qualcosa nel Paese che quei sei senesi nati negli anni ‘30 si sono ritrovati nella sede del Magistrato delle Contrade, l’associazione che dà vita al Palio, per cercare di capire.

Sono ben piazzati per parlarne, anche che se il primato di Siena nella quota di ultranovantenni d’Italia in sé non significa molto: può darsi che i giovani abbiano lasciato la città o che nascano pochi bambini, non solo che a Siena si vive più a lungo. La lista dell’Istat sulle città con una proporzione più alta di grandi anziani aiuta comunque a fare un po’ di chiarezza. Vi figurano in effetti centri con una natalità molto più bassa della media italiana — La Spezia, Savona, Udine o Trieste — e questo spiega il peso relativo degli anziani. Nell’elenco dell’Istat emergono però tre città ad alta densità di ultranovantenni dove la frequenza delle nascite è nelle medie nazionali, o solo di poco sotto: appunto Siena, oltre a Firenze e Bologna. Neanche questa è una prova che in quei comuni si vive di più e che dunque vanno cercati lì i segreti di una lunga esistenza. È solo un altro indizio.

Quelle tre città però presentano un ulteriore punto in comune perché, fra i grandi anziani, hanno tutte una proporzione di laureati sopra alle medie nazionali (vedi grafico). Questo in effetti sembra logico: le probabilità di morire durante la mezza età diminuiscono infatti di molto per chi ha raggiunto livelli di istruzione più alti. Lo studio allunga la vita, in media, perché in certi casi la salva. Stefano Mazzucco su Neodemos mostra per esempio che fra i maschi italiani fra i 25 e i 44 anni le probabilità di morire sono triple in chi ha la licenza elementare rispetto a chi è laureato.

Ma anche questo non basta a spiegare i segreti di Siena, perché anche Roma o Milano hanno molti laureati novantenni ma non hanno un’alta densità di anziani. Seduta nella sede del Magistrato delle Contrade la signora Nepi Adami — 81 anni, forma perfetta — azzarda una spiegazione diversa: «Non sono mai sola — dice —. Vado nelle case di amici dove andavano i miei nonni e vanno i miei nipoti. Invecchiando la continuità dà sicurezza e la vita di contrada protegge: tutti i sabati c’è una cena, fra persone di ogni età». La signora deve aver toccato un nervo, perché i suoi coetanei ora si danno sulla voce per rimarcare il punto: a Siena si è sostenuti da un reticolo di relazioni che riempie la vita e la fa durare.

Non solo le contrade, ma una quantità di circoli secolari: l’Accademia dei Rozzi, quelle degli Intronati e dei Fisiocritici, la Società degli esecutori delle pie disposizioni (gestisce patrimoni di senesi in lascito alla città), i Donatori di sangue delle contrade, la Misericordia (cattolica) e la Pubblica assistenza (laica). Attività culturali come il teatro e di volontariato.

È un misto di conservatorismo dei costumi e «capitale sociale» — circuiti di amicizia, sostegno, istituzioni della comunità e controllo reciproco — che in effetti si trova anche a Bologna e Firenze. Aiuta a vivere bene, a tutte le età. Gli ottuagenari senesi al tavolo del Magistrato delle Contrade ne convengono con orgoglio, prima che Giannelli li interrompa brutalmente: «Noi siamo buoni a socializzare, ma dove ci si dovrebbe scaldare siamo pecoroni». Parla di come quasi tutti hanno chiuso gli occhi quando il patrimonio da oltre dieci miliardi della fondazione Monte dei Paschi è stato devastato dalla gestione avida e incompetente della politica. Quel patrimonio era l’olio che lubrificava l’ingranaggio del «capitale sociale» senese, finanziando le associazioni, mentre oggi mancano anche i soldi per rinnovare i costumi delle contrade al Palio.

Se dunque Siena è una metafora d’Italia, la distruzione di fiducia collettiva della grande recessione forse non ha spazzato via gli ingredienti di una buona, lunga vita. Ma il suo patto, di sicuro, è da rifondare”.

[fonte: corriere.it]